Ma quale “teoria gender”. Ecco l’elefante con la valigia e la coraggiosa Cappuccetto Rosso che insegnano la parità di genere
“L’elefante con la valigia è un maschio o una femmina?”
“Quando pongo questa domanda ai miei bambini dell’asilo, la risposta è sempre la stessa: ‘Maschio!’. E questo nonostante molti abbiano una mamma che lavora fuori casa, magari fa l’avvocato o l’insegnante e più volte l’abbiano vista con una valigia”. Fa una pausa. “Questo per dimostrarvi che gli stereotipi di genere sono molto più forti dell’esperienza”
Daniela Paci è l’energica insegnante di una scuola per l’infanzia di Trieste, una delle 18 scuole della città dove hanno debuttato i corsi della cosiddetta “teoria gender” avversati dalla destra cattolica e dai gruppi come “Le sentinelle in piedi” e “Manif pour Tous”.
A marzo, proprio a Trieste, scoppiò il putiferio: sui giornali locali questo nuovo tipo di approccio educativo venne bollato come “osé” perché, secondo le accuse, le maestre facevano toccare ai bambini le proprie parti intime e spingevano i maschietti a travestirsi da femminucce”.
Il caso divenne internazionale – se ne occupò persino la stampa cinese – e ha aperto la stura a numerose iniziative di denuncia e boicottaggio, tra le quali la decisione del sindaco veneziano Luigi Brugnaro di togliere 49 titoli considerati pericolosi dagli scaffali degli asili. E con l’apertura dell’anno scolastico, il clima contro il “gender” è tornato pesante: nonostante l’80% delle famiglie abbia deciso di appoggiare la sperimentazione triestina sulla parità di genere, Paci preferisce che questo articolo non riporti il nome dell’istituto scolastico dove lavora.
“Una campagna diffamatoria”, si indigna Lucia Beltramini, ricercatrice e docente alle università di Trieste e Udine che insieme alla Paci e alla responsabile dell’associazione culturale Laby, Benedetta Gargiulo, ha inventato il contestato “Gioco del Rispetto”: una scatola che contiene tra i vari materiali la favola di “Red e Blue”, un bambino e una bambina che nella trama piangono, provano rabbia oppure gioia, senza distinzioni di sesso perché anche i maschietti possono piangere e le femminucce possono arrabbiarsi moltissimo.
“Il Gender Gap Index colloca l’Italia al 69mo posto nel mondo, 114ma per partecipazione ed opportunità economica delle donne”, continua Beltramini, intervenuta sabato 19 settembre al visitatissimo convegno nazionale “Educare alle differenze” promosso a Roma dall’associazione “Scosse”, “E nella mia esperienza con gli adolescenti ho notato come una coppia su dieci già abbia problemi di violenza di genere. Per questo bisogna puntare sulla prevenzione e dunque ci rivolgiamo ai bambini molto piccoli”.
“Storia incredibile di due principesse” è uno dei 49 libri messi all’indice dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, perché considerato “gender”:
Per i promotori del Family Day, invece, “Il gioco del rispetto” genera confusione sessuale nei bambini, soprattutto perché in classe succede che un maschietto venga vestito da Cappuccetto Rosso e una bambina da pompiere. “Chi sostiene questo ignora che i bambini giocano fingendo di essere qualcun altro da sempre. Quello che insegniamo è che ci si può mettere nei panni delle persone che conosciamo per capire cosa provano e far comprendere che una bambina può sognare di fare l’ingegnere e un bambino da grande potrà stirare”.
“Cappuccetto Rosso era indipendente e sveglia anche nella versione di Perrault. Riscrivere le favole non è niente di nuovo, è sempre successo”
I laboratori di “Educare alle differenze” sono stracolmi di insegnanti accorsi da tutta Italia per imparare dalle esperienza dei docenti che ormai da qualche anno, spesso arrabattandosi e sfidando la diffidenza dei genitori, hanno introdotto corsi contro il bullismo, contro l’omofobia, per il rispetto degli adolescenti sovrappeso o stranieri e per promuovere l’uguaglianza tra i sessi. “Venite a vedere con i vostri occhi i temibili promotori dell’ideologia gender!” è la frase provocatoria con la quale il convegno è stato pubblicizzato.
Dalla loro parte, implicitamente, si è schierata la ministra Stefania Giannini che nella “Buona scuola” ha auspicato proprio i corsi demonizzati e ha definito la “teoria gender” una “truffa culturale”. Nella circolare del Miur la ministra ha chiarito ai genitori spaventati che i laboratori in classe vogliono soltanto prevenire “la discriminazione per ragioni connesse al genere, alla religione, alle convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale o politico”.
E così, al convegno, la giornalista esperta in comunicazione Rosangela Petillo mostra per esempio un progetto dedicato ai piccoli studenti dai 7 agli 11 anni, si chiama “Orienteering” e propone di studiare la toponomastica dei quartieri andando a scovare le strade intitolate alle donne. Una volta in classe, la prof arma gli alunni di forbice e colla e li invita a creare il classico gioco “Memory” per scoprire chi fosse Florence Nightingale o Nilde Iotti.
Mentre su impulso di Loredana Magazzeni, una docente dell’Università di Bologna, due classi del capoluogo emiliano hanno provato a includere nell’antologia di letteratura le autrici donne. “Quando abbiamo chiesto ai ragazzi quale fosse il loro libro preferito, abbiamo scoperto che la maggior parte dei loro autori di riferimento sono maschi” spiega Magazzeni. “E quando abbiamo chiesto: secondo voi perché? La maggioranza ha risposto che poche donne scrivono”.
E dunque, per dimostrare il contrario, i professori hanno portato la scolaresca a constatare che nella Biblioteca delle Donne di Bologna esistono migliaia di volumi scritti da autrici.
Il progetto di Magazzeni è quello di spingere finalmente le case editrici a stampare antologie “gender friendly” dove accanto al Cantico delle creature di San Francesco ci siano anche gli scritti di Santa Chiara e dove i sonetti del Cavalcanti siano seguiti dalle poesie di Trotula de Ruggiero o Umiliana de’ Cerchi. “Perché nelle normali antologie per le scuole medie tra i 51 autori proposti soltanto 4 sono donne e questo oscura una parte della verità: le donne hanno sempre scritto”.
“Fin da piccoli i bambini sono inondati di stereotipi sul genere di appartenenza”, riassume Sara Marini, filosofa del linguaggio ed educatrice per “Scosse”, che per l’occasione ha fatto letteralmente a pezzi una fiaba invitando a ricostruirla abolendo, appunto, la solita storia della principessa che deve essere salvata e del principe che deve essere forte e coraggioso.
Marini consegna le striscioline di carta dove sono stampate le frasi da smembrare come “La strega era cattiva, abitava oltre il recinto” e “Il re diede in moglie la figlia a un mendicante” o “Il cavaliere brandì un bastone”. Colla, forbici e un cartellone per rinnovare la favola.
“Le favole sono un bacino immenso di stereotipi di genere. Il maschile viene sempre descritto come dotato di forza, azione, autostima, dominio. Il femminile è dipendente, sottomesso, remissivo, vittima. Le uniche donne indipendenti sono le streghe”.
In cerchio le professoresse che dovranno proporre ai loro alunni la decostruzione delle fiabe immaginano una nuova trama: “La donna era un calzolaio e viveva oltre il muro di cinta. Il ragazzo se ne innamorò ma lei non voleva sposarsi e partì per cercare fortuna…”.
“Ai bambini non proponiamo di rovesciare completamente la fiaba, altrimenti cadiamo nello stereotipo opposto dell’uomo sempre debole e sempre perdente”, rassicura Marini, che non è per niente favorevole all’abolizione delle favole classiche tradizionali.
“Sono proprio le favole che conosciamo fin da piccoli come Cappuccetto Rosso a essere state riscritte e decostruite lungo i secoli, non facciamo nulla di nuovo. La Cappuccetto indipendente e sveglia non è una nostra invenzione”, continua Marini. “Molti rimangono sbalorditi quando spieghiamo che nella versione di Perrault il cacciatore che salva Cappuccetto Rosso non c’era e che invece nella versione dei fratelli Grimm la piccola protagonista impara dalla propria esperienza e quando torna nel bosco cerca di uccidere il lupo insieme con la nonna”.
E mentre nei gruppi di lavoro sulle fiabe il principe diventa improvvisamente pauroso e la figlia del re preferisce rimanere single, nell’aula accanto Ezio De Gesu, attivista gay del Cassero di Bologna, riproduce per intero il laboratorio “Schoolmates” sull’identità sessuale e di genere rivolto ai ragazzi dai 12 anni. “Chi pensa che la scuola media sia un tempo troppo precoce per parlare di intersex, transgender e cisgender probabilmente non è mai entrato in una classe”, dice con ironia.
“Una persona su 400 è intersex, perché non dovrebbero conoscere questa realtà? E perché dovrebbero crescere pensando che una persona transgender è forzatamente triste e disperata? Il fatto poi che esistano coppie omosessuali e persone con genitori gay è un dato di fatto che non va nascosto e che bisogna rispettare”.
“Chi pensa che la scuola media sia un tempo troppo precoce per parlare di intersex, transgender e cisgender probabilmente non è mai entrato in una classe”
Nel corso “Schoolamates”, che in quattordici anni ha coinvolto 600 classi bolognesi, il sesso nella sua concretezza non viene mai affrontato.
Semmai molto tempo viene impiegato per spiegare la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale. E per farlo De Gesu mostra un disegno dove una ragazza, specchiandosi, vede un ragazzo e viceversa. Ai docenti consiglia testi per esplorare le differenze tra maschi e femmine come “Così sei fatto tu” e un classico di Bianca Pitzorno “Extraterrestre alla pari” dove una famiglia ospita una persona proveniente da un pianeta dove il genere sessuale non è importante.
L’insegnamento finale è che “l’orientamento sessuale può essere fluido e cioè può succedere che un ragazzo possa essere attratto dalle ragazze e dopo qualche anno provare attrazione per le persone dello stesso sesso. Ma è decisamente errato che questo possa essere frutto di una scelta o di un condizionamento culturale. Dire che con questi corsi ‘omosessualizziamo’ gli studenti è completamente falso”.
Laura Eduati
pubblicato il 20/09/2015 su Huffington Post
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