Educare alle differenze: le ragioni della seconda edizione
di Monica Pasquino 28 luglio 2015
Durante i mesi invernali, nel fuoco del vivace dibattito sulla scuola che coinvolgeva governo, sindacati, docenti e studenti e mentre le leghe cattoliche e la Conferenza episcopale scagliavano l’arma della cosiddetta “ideologia del gender” per attaccare le esperienze di formazione che promuovono il superamento delle norme di genere che creano stigma e violenza, ha preso vita la decisione – tutta politica – di organizzare la seconda edizione di “Educare alle differenze“.
L’iniziativa si era svolta poco più di un anno fa, il 20 e 21 settembre del 2014, a Roma, sotto la spinta dell’Associazione SCOSSE di Roma, Progetto Alice di Bologna e Stonewall di Siracusa e delle oltre duecento organizzazioni che si sono aggregate.
In un certo senso, Educare alle differenze nasceva come iperbolica replica alle diffamazioni del vicariato iniziate nell’autunno del 2014, che ci hanno colpito in prima persona, verso i progetti di educazione alle differenze e di formazione rivolti al riconoscimento e al superamento degli stereotipi legati a genere e orientamento sessuale.
Lo scandalo dell’educazione alle differenze, in tutti i casi presi di mira, era di mettere in discussione i valori proposti nelle famiglie cattoliche nelle aule delle scuole pubbliche, valori che non devono avere rivali, e disobbedire al precetto della maschilità e femminilità tradizionali, unica opzione possibile di organizzazione sociale.
Come giustamente dichiarò Don Filippo Morlacchi a Radio Vaticana, appellandosi a tutte le persone convinte della bontà della famiglia naturale, queste iniziative nelle scuole vanno combattute perché hanno l’obiettivo di «instillare nei bambini piccoli queste idee per produrre un cambiamento culturale». Un cambiamento rispetto a quello che Dio comanda all’uomo e alla donna nelle sacre scritture, come ha fatto scrivere su un camion pubblicitario Alessadro Moro, parroco a Pordedone.
Piano piano ci accorgevamo che ad essere sotto attacco non erano solo i Gender Studies, la genitorialità non eterosessuale e l’effervescente e contraddittoria produzione Queer, ma il principio della democrazia liberale che intendeva la scuola come spazio di educazione al vivere in comune, tra differenti di eguale dignità, e risorsa imprescindibile per aprire le nuove generazioni a una cittadinanza plurale e a un’etica che poteva differire dall’educazione impartita nelle famiglie di origine.
La nostra replica è diventata iperbolica grazie al coinvolgimento attivo di uno spettro ampio di associazioni ed esperienze che lavorano, dentro e fuori le scuole, per promuovere l’accettazione di tutte le differenze, superando confini ed etichette che spesso contraddistinguono il mondo della formazione e il settore no profit.
Alla prima edizione di Educare alle differenze – due assemblee plenarie, sette tavoli tematici paralleli, teatro forum, mostre, banchetti e, soprattutto, un’atmosfera positiva, allegra, curiosa, carica di desideri e aspettative – hanno partecipato oltre 600 persone da tutta Italia.
La rete dei soggetti singoli e collettivi che hanno partecipato era assai più composita di quello che prevedavamo: associazioni, scuole, consultori, centri antiviolenza, case delle donne, insegnanti, personale educativo, docenti universitari, genitori, consulenti in orientamento e formazione, attivisti/e di spazi sociali, operatrici e operatori d’infanzia e del settore artistico e culturale, figure operanti a vari livelli e in vari ambiti nelle amministrazioni locali e nazionali.
La grande partecipazione alla prima edizione di Educare alle differenze e le iniziative che si sono susseguite a livello territoriale nel corso dei mesi successivi, racconta con forza almeno due aspetti.
In primo luogo racconta di saperi e competenze diffuse: pur nell’assenza quasi totale di fondi e in un clima di generale ostilità culturale, infatti, in tutta Italia esistono soggetti collettivi e singoli professionisti che sviluppano progetti efficaci e di qualità per la valorizzazione delle differenze, l’educazione sentimentale, la prevenzione e il contrasto di ogni forma di discriminazione e sopraffazione.
Secondo, testimonia il bisogno forte e diffuso di condividere conoscenze e strumenti, di stabilire sinergie e connessioni e di costruire una voce polifonica, capace di promuovere, valorizzare e difendere, quando necessario, queste attività, rivendicando la loro capacità di trasformare la società nella direzione di una maggiore inclusione nella sfera della cittadinanza, che per sua definizione non potrà mai dirsi piena.
La necessità di fare rete e di costituire un gruppo di pressione capace di fare leva sulla politica; il bisogno di uscire dall’isolamento e dalla solitudine dei singoli progetti e dalla rapsodicità della logica del “progettificio” e contemporaneamente superare la competizione tra i soggetti associativi e promuovere al contrario cooperazione e scambio; il desiderio di migliorare la qualità e la replicabilità delle attività realizzate e promuovere formazione permanente, autoformazione gratuita e scambio di saperi e buone pratiche tra pari e tra diversi ordini scolastici, sono le ragioni per le quali abbiamo deciso di continuare a lavorare assieme e organizzare così la seconda edizione di Educare alle differenze, che si svolgerà a Roma il 19 e 20 settembre prossimi.
Leggi il programma della prossima edizione di “Educare alle differenze”.
Pubblicato il 28/07/2015 su www.lavoroculturale.org
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