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Educare alle differenze: il punto di vista di Franca Bellucci

Da Team Scosse
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educare alle differenze_bellucciRoma, 20-21 settembre 2014

La due giorni di Roma è stata proprio una bella esperienza.
La grande partecipazione, il modo organizzato di comunicare così da non sprecare nulla, raccogliendo invece il massimo con sintesi ben corrispondenti. Insomma, tutti erano a loro agio, perché agli obiettivi ci tenevano: e spero infatti che il tutto prosegua.
Nei report finali ogni segmento ha affermato la sua specificità. La carenza teorica intorno alla scuola è stata denunciata da molti. Ma in particolare è il segmento 11-14 che subisce lo stigma della carenza: vera lacuna istituzionale. Nel segmento 14-18, importante: si è detto a piena voce che la scuola non ospita che una parte dei giovani di tale età. Dunque ci si rivolge ugualmente ai giovani drop-out.
In definitiva: tanto calore, tanta efficacia, tanto desiderio di proseguire!
Mi sono trovata anch’io a fare l’intervento (non preventivato!).
Comunque mi sono convinta di aver fatto bene ad intervenire: il giorno dopo dicevano, sì, tu sei quella della SIS-didattica…mi è piaciuto il tuo intervento… Ed eccomi:

1) Ho incoraggiato a cogliere le alleanze ovunque si manifestassero: il momento è fecondo. Molte, infatti (così negli interventi) le varietà delle situazioni: cattolici che si oppongono, ma anche cattolici che sono a fianco. Io così interpreto: il principio di neutralizzare nei ragazzi l’esperienza dell’incontro, restituendo alla famiglia i ragazzi così come la famiglia li vuole, è stato il patto iniziale – e mai rivisto – nel fondare la scuola italiana, ad opera di un liberalismo assolutamente gretto di fine 800, che ammiccava ad un cattolicesimo allineato.
2) E’ il momento di adeguare i libri di testo e l’insegnamento per la piena partecipazione di tutti.
3) Soprattutto si deve porre al centro gli studenti in quanto pienamente soggetti

Mi pare che questo sia tutto, per la sintesi di quello che ho detto. Ritorno su aspetti che dovevano essere collegati: e che spero si siano sviluppati in proprio negli interlocutori.
a) ‘Pienamente soggetti’: intendo che nella scuola, l’educatore si applica ESSENZIALMENTE a questa dimensione, educare alla responsabilità: cosa che non è, nemmeno quando si dice ‘educare alla legalità’. ‘Soggetto’ e ‘responsabilità’ sono connesse: non c’è promozione di responsabilità là dove si impartiscono racconti, o anche si promuovono emozioni, come mero ascolto. Nella via unidirezionale, dalla cattedra, quel che si elimina è ‘la responsabilità che scaturisce dall’esser soggetto’. Finché l’educatore è vertice dalla cattedra, non è educatore: insegnante sì, perché vuole lasciare il suo marchio, il suo segno; ma non prevede spazi e connessioni originali nel giovane.
Allora: bene passare dalla frontalità dell’educatore all’affrontarsi degli studenti: guardarsi negli occhi.
b) Nella forma-scuola, ed anche nel modo in cui, anche criticando, viviamo la scuola, c’è molto dell’immagine stereotipata di un progresso lineare e continuo: è rimasta, cioè, la filosofia cosmologica del predominio positivista a livello europeo in cui la scuola fu fondata. Invece non è così. Nella mera linea disciplinare, anche senza dar rilievo al più vasto mondo interiore che nel giovane è, anche quando si contraddice e si riassetta, l’educatore con sguardo attento deve cogliere, i blocchi, gli arretramenti, ed anche i salti avanti e le acquisizioni fulminee e perfino anticipatrici.
All’educatore lo sguardo attento pertiene: non è educatore se non lo ha, e il dialogo attivo dell’educatore con ogni giovane deve tendersi soprattutto su questo campo.
c) Chiaramente vi è contrasto tra proporre la crescita come dinamismo e trovarla ingessata nel meccanismo piramidale, gerarchico della scuola a scansione positivista: la comunità educante dovrebbe farsi carico dei modelli appropriati. La comunità educante in qualche modo sa questo: togliere la riparazione a settembre, offrire attività di sostegno, testare separatamente è un insieme di interventi che si motivano con un modello di crescita non uniforme. Tuttavia tutto questo è riserbato ad una logica emergenziale, non conseguente alla discussione franca.
d) Si vive in un disagio crescente nella sovrapposizione positivismo-dinamismo. Manca una riflessione profonda, polifonica e dunque avvertibile anche dai sordi (scottante, se ci fosse: pazienza!) su tutta la scuola, un colloquio non contingente e adattativo. In chiave dinamica, interrogando a fondo:
-l’orizzonte dei diritti umani;
-l’orizzonte dello sviluppo personale e responsabile;
-sviluppo come soggetto dinamico, di emozioni e di dialogo attivo;
-sviluppo come cammino verso il diritto
-appunto, come detto, nella comunità secondo l’orizzonte dei diritti umani.

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