Educare alle differenze IV: le mappe
Mappatura dei tavoli di lavoro: parole chiave, obiettivi, sfide
Per la quarta edizione di Educare alle Differenze, interamente incentrata sul rapporto tra scuola (quella pubblica e laica) e famiglie (nella loro pluralità e ricchezza), si è scelto di suddividere i tanti workshop seguendo quattro “lenti di approfondimento” – #famiglie, #strumenti, #inclusione, #comunicazione – e di prevedere a conclusione della prima giornata dei momenti di “mappatura” dei contenuti emersi attorno ai singoli hashtag, per condividere riflessioni e ricostruire un discorso comune.
A seguire un primo tentativo di estrapolare alcune parole chiave e alcuni concetti ricorrenti utili a tessere i fili di un ragionamento collettivo sull’educazione alle differenze.
La prima parola che ha attraversato tutti e quattro i tavoli di lavoro è complessità, che è sì la complessità del reale, ma che è anche e soprattutto una chiave di lettura privilegiata e da rivendicare, un baluardo contro l’omologazione dello sguardo.
Di pari passo, e senza alcuna contraddizione, i tavoli che si sono occupati di Comunicazione hanno sottolineato la necessità di una comunicazione semplice e immediata capace di mediare i contenuti senza paura di banalizzarli per poter arrivare a tutt*.
La seconda parola emersa con forza e in modo trasversale è coraggio. Prima di tutto il coraggio di partire ancora una volta da un lavoro su noi stess*, di ammettere tabù e resistenze, ma anche di rompere la posizione di solitudine in cui insegnanti, educatori e educatrici spesso si sentono rinchius*. Il coraggio è poi quello di farci portatori e portatrici di nuovi immaginari possibili, da costruire anche grazie al potere delle storie (e dei libri) che non si fondino più su narrazioni straordinarie, presentando ad esempio la donna in modo dicotomico come eroina o in posizione subalterna.
Infine il coraggio è quello di assumersi la responsabilità, come insegnanti ma anche come famiglie, di farsi carico di questi temi, di affrontarli, analizzarli, portarli avanti nel proprio impegno quotidiano.
Su questo tema il tavolo dedicato all’inclusione ha sottolineato la forza delle situazioni “extra ordinarie”, siano esse positive, come la presenza in classe di bambin* rom o con una famiglia omogenitoriale alle spalle, siano esse negative come nei casi di presunte violenze e abusi. Queste situazioni fanno da cuneo, da testa di ariete, costringendo (o per meglio dire permettendo) a mettersi in gioco, ad affrontare questi temi e a condividere, tra collegh*, con le famiglie e fuori dalla scuola.
Ecco che torna la necessità di fare rete (andando oltre il virtuale), non solo tra noi, ma con chi lavora sul territorio, senza scarichi e appalti di responsabilità ma facendo comunità, cercando sostegno e riconoscendo le reciproche competenze. Uscire dalla classe aiuta anche a trovare nuovi tempi e nuovi spazi assolutamente necessari per costruire un vero dialogo tra scuola e famiglia.
Infine il diritto/dovere di informazione – dalla decostruzione di stereoripi culturali, di genere, di ruolo all’educazione alla sessualità – e soprattutto di formazione e autoformazione, come sempre un perno di Educare alle differenze. Una formazione che non può avere carattere episodico ma che rivendica una continuità nel tempo e una trasversalità rispetto agli ordini di studio, agli insegnamenti, ai contesti.
Molte sfide aperte, insomma. Ma anche un vocabolario comune che dopo quattro anni inizia a definirsi con chiarezza e a radicarsi. Perché la riflessione che ruota intorno al ripensamento del linguaggio resta un nodo centrale sotteso in ogni nostro discorso.
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