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Sulla conciliazione

Da Team Scosse
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oifigliSCOSSE – Soluzioni Comunicative Studi Servizi Editoriali – è un’Associazione fondata da donne ventenni e trentenni, lavoratrici della conoscenza, della cultura, della ricerca e della formazione, che hanno deciso di mettersi formalmente assieme per riappropriarsi, almeno in parte, del proprio tempo, sottratto dalla precarietà di vita, e della capacità di autodeterminarsi, attraverso la costruzione di un percorso in cui si intrecciano interdisciplinarietà, innovazione, autonomia e autoreddito.
Le inizative e i progetti che SCOSSE porta avanti sono di carattere culturale, sociale e formativo: riguardano l’educazione di genere, la lotta agli stereotipi sessuali ed etnici, la promozione di una cultura dell’accoglienza e della solidarietà verso tutte e tutti, in particolare verso chi è considerato un soggetto diverso, fuori norma, perché omosessuale, transessuale, straniero, disabile, carcerato. Costruiamo queste iniziative cercando di produrre un circolo virtuoso tra le nostre competenze professionali, i nostri studi, il nostro impegno politico e femminista.
Per questo (e molto altro), sentiamo una naturale vicinanza con il tema della conciliazione maternità-lavoro, affrontato da Chiara Valentini in “O i figli o il lavoro” (Feltrinelli 2012). Così abbiamo deciso di creare, in collaborazione con la Libreria delle donne Tuba, un momento di incontro e confronto su questo testo, convinte anche noi, come l’autrice, che “o i figli o il lavoro” sia una scelta che le donne e gli uomini di questo paese devono respingere.
Con Lorella Reale, Laura Schettini e Chiara Valentini il 17 maggio abbiamo parlato della guerra silenziosa alla maternità delle donne che lavorano; di quanto la retorica della flessibilità riveli tutta la sua vacuità quando si tratta di conciliare i tempi di lavoro con quelli dell’allattamento, degli orari di entrata e uscita dalle scuole, delle malattie e delle visite dai pediatri.
Abbiamo condiviso idee ed esperienze sul congedo di maternità – un privilegio – e sul congedo di paternità, un diritto che i giovani uomini dovrebbero iniziare a volere e a rivendicare a gran voce per loro stessi, non in quanto “maschi democratici” solidali con le proprie compagne.
Abbiamo discusso di questo e di altro, mettendoci del personale, condividendo quanto ci accade quando sulla nostra pelle viviamo l’obbligo di questa scelta.
Anche all’interno di SCOSSE abbiamo discusso più volte di questo argomento, e i pensieri, le emozioni ruotavano spesso attorno a due nuclei profondi, radicati fuori e dentro noi stesse, un groviglio di contraddizioni e sensazioni che non sempre raggiungono la consapevolezza.
Da un lato, noi donne senza figli, nate negli anni 70 e 80, siamo ammaliate dalla trappola dell’eterna giovinezza, che ci fa dormire la notte, ci permette di non disperarci e abbatterci.
La trappola dell’eterna giovinezza è la giustificazione che ci viene data per una carriera che non c’è, per la precarietà strutturale, per la casa che non abbiamo, per la scelta della maternità che non ci poniamo perché riguarda un desiderio interdetto a chi non ha un reddito fisso, non ha rendite, non ha stabilità economica-residenziale-sentimentale (come potrebbero le relazioni d’amore essere salde quando tutto il resto è incerto…).
Dall’altro lato, noi donne nate negli anni 70 e 80 che abbiamo scelto la maternità e che vogliamo riuscire a conciliare figli e lavoro. É una sfida che ingaggiamo con noi stesse e che ci spinge a diventare robot, efficienti e superscattanti, sempre sul pezzo per 20 ore al giorno.
Come se, anche noi stesse, in qualche parte del nostro corpo, sentissimo la maternità come una colpa, un privilegio che ci concediamo solo a patto che non rubi tempo al lavoro e alle ambizioni professionali.
Come associazione di giovani donne e femministe – come donne attive politicamente in diverse realtà – studiamo e lottiamo per un’altra riforma del mercato del lavoro, radicale e innovativa anche in materia di conciliazione; mentre ciò che ci troviamo davanti é la proposta dell’istituzione sperimentale di 3 giornate di paternità.
L’idea di conciliazione che immaginiamo é per le madri e per i padri e si propone come motore di cambiamento per incidere sugli umori profondi di un paese che difende donne e famiglie solo con slogan.
Un cambiamento culturale che deve investire le relazioni, spesso costruite attraverso ruoli stereotipati, così come tutta la società e il mondo del lavoro, che ha disconosciuto la maternità come fatto sociale.
La buona conciliazione afferma il valore sociale della genitorialità – eterosessuale e omosessuale, per coppie o single, per cittadini stranieri e italiani – e lo tutela come diritto non negoziabile.
E inoltre garantisce le condizioni (assistenzialistiche, economiche, sociali) che aiutano le neomamme e i neopapà nel compito faticoso che hanno davanti.
Glì strumenti della conciliazione devono servire a garantire e a favorire lo svolgimento della gravidanza, della maternità e del ruolo genitoriale e per farlo devono cambiare anche il nostro tempo di lavoro, per adeguare il lavoro alle nostre nuove esigenze ed evitare che accada il contrario.
Con la flessibilità negli orari, i part time e i congedi parentali, con gli asili pubblici e aziendali, con la formazione, l’informazione e la sensibilizzazione, con i sostegni economici ed assistenziali, la conciliazione rappresenta innanzitutto una fonte di benessere e di aiuto nella crescita individuale di ognuno/a, perché siamo noi stesse/i , in primo luogo, a dover accettare il cambiamento.
La maternità e la paternità trasformano le nostre vite, i nostri rapporti, i nostri corpi, le abitudini e gli interessi. Mutano anche il nostro rendimento professionale, spesso questo non provoca una diminuzione del desiderio di lavorare, ma solo un cambio di prospettiva.
Con la nostra sensibilità muta anche la nostra creatività, che domani sarà migliore, forti come saremo di aver compiuto l’atto più rivoluzionario che si possa realizzare in tempi di crisi e precarietà: partorire e accudire nuovi esseri umani.

Monica Pasquino
www.scosse.org/wordpress/

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