Vittime della rete: come contrastare il cyberbullismo
Le vittime dei cyberbulli rischiano autolesionismo e depressione. E 1 su 10 tenta il suicidio. Mentre è in discussione alla Camera un ddl per renderlo reato, ecco cos’è e come sta cambiando il cyberbullismo
Inchiesta di Mohamed Maael
In che modo agire? In Italia non esiste il reato di bullismo e cyberbullismo. In Senato, a maggio del 2015, è stato approvato con voto unanime un disegno di legge che è attualmente in esame alla Camera, assegnato alle commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali. Il testo mira a mettere dei paletti in una materia ancora troppo nebulosa ma senza assumere posizioni sanzionatorie: definisce il fenomeno di cyberbullismo, regola la rimozione dei contenuti offensivi dalla rete, stabilisce quando debba intervenire il Garante della privacy e, soprattutto, introduce una misura di ammonimento nel caso di reati commessi da minorenni ma con età superiore ai 14 anni. Si potenzia poil’educazione e la sensibilizzazione nelle scuole e si costituisce un tavolo interministeriale permanente per il contrasto al fenomeno. Nell’attesa, alcune realtà scolastiche sono scese in campo per tentare di fornire una risposta al problema del cyberbullismo. E’ il caso ad esempio degli studenti del liceo Galileo-Costa di Lecce che hanno deciso di dire basta al bullismo attraverso il progetto “MaBasta” con l’idea di unire le forze dei ragazzi di tutta Italia che vogliono davvero e concretamente arginare il fenomeno, attraverso una efficace sensibilizzazione e azioni dirette.
L’INTERVISTA | MARTA DI COLA | ANTONELLA ZOTTI
Per capire meglio cosa sia il cyberbullismo, abbiamo incontrato Marta Di Cola e Antonella Zotti. Marta Di Cola è socia e formatrice di Scosse – Soluzioni Comunicative Studi Servizi Editoriali – un’Associazione di Promozione Sociale, nata nel 2011 a Roma grazie a una start-up dell’università di Tor Vergata, che si propone di contribuire alla costruzione di uno spazio pubblico aperto, partecipato e solidale, contro ogni esclusione sociale. Antonella Zotti è invece una psicologa e responsabile del Centro Antiviolenza provinciale di Barletta-Andria-Trani, RiscoprirSi.
Come si è evoluto il bullismo rispetto al passato? Cosa ha comportato l’arrivo dei social network?
Marta Di Cola: Senza dubbio, le possibilità messe a disposizione dalle nuove tecnologie e l’importanza che hanno nella vita di adolescenti e preadolescenti hanno avuto il duplice effetto di consolidare forme di prevaricazione già note, definendo allo stesso tempo nuove dimensioni. Non a caso si è sentita l’esigenza di ricorrere a un termine differente, per riferirsi ad atti di bullismo compiuti attraverso cellulari o dispositivi che possono connettersi ad Internet, proprio per sottolinearne la specificità. In questi casi si parla più specificatamente di cyberbullismo. Tra bullismo e cyberbullismo esistono chiaramente degli elementi di continuità, poiché in entrambi i casi abbiamo a che fare con una relazione asimmetrica, in cui un soggetto considerato per qualche motivo “debole” e per questo deprecabile “viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus, 1996: 11-12). Mentre il bullismo “corpo a corso” si consuma nell’hic et nunc, nei casi di cyberbullismo la vittima non è mai al sicuro, può essere raggiunta ovunque, sempre. Non è possibile cancellare le tracce dell’onta subita: la diffusione di una foto o un video online non può essere controllata, può passare di mano in mano, diventare addirittura virale, resistere all’usura del tempo. Mettiamo, infine, il caso di un video girato in classe, successivamente postato su una pagina Facebook “contro”: il cortocircuito è evidente e l’effetto devastante.
Antonella Zotti: Il rivoluzionario cambiamento nelle modalità di comunicazione posto in atto dai social network, unito a fattori quali la rapidità nell’evoluzione tecnologica, la connettività illimitata, l’istantaneità degli scambi comunicativi non hanno permesso ai “nativi digitali” di distinguere consapevolmente tra comportamenti ammissibili in rete e comportamenti problematici, impropri e potenzialmente pericolosi. La definizione di “nativi digitali” fu coniata nel 2001 da Marc Prensky (2001) per indicare le nuove generazioni. L’anno successivo Bill Belsey, un educatore canadese, parlò per primo di cyberbullismo. Le vittime spesso non conoscono l’identità del proprio aggressore, il quale a sua volta sottostima la portata negativa del suo comportamento. Il disimpegno morale e la mancanza di empatia, che caratterizzano il comportamento del bullo online, potenziano ulteriormente l’impatto negativo che queste azioni comportano.
Possono davvero i social network educare negativamente i ragazzi di oggi?
Marta Di Cola: I social network non sono in sé né “buoni” né “cattivi”. Indubbiamente, si tratta di uno strumento di comunicazione dall’enorme potenziale, anche dal punto di vista educativo. Non si può negare che l’uso improprio di uno strumento così potente e pervasivo possa innescare- non solo dal punto di vista comunicativo- dinamiche pericolose, capaci di minare profondamente l’autostima di chi viene messo alla berlina della comunità virtuale, in un sistema di click che sembra inarrestabile. Basta una foto o un video imbarazzante postato sulla bacheca di un amico, o presunto tale, e si rischia di perdere la cosa più importante per chi è ancora alla ricerca di se stesso e della propria identità: la reputazione. È necessario, quindi, educare i ragazzi e le ragazze a un uso consapevole dei new media, a una maggiore attenzione alla privacy propria e altrui e, soprattutto, al rispetto reciproco anche quando manca la comunicazione vis à vis. È necessario stabilire delle regole e, affinché siano seguite, è altrettanto necessario che vengano comprese e condivise.
Antonella Zotti: La rete in sé non ha alcun potere o può averne molto: dipende dall’uso che se ne fa. I social network, se utilizzati in modo opportuno, possono assolvere diverse funzioni: informativa, di costruzione della cultura e della conoscenza, di espressione. Le ragazze sono i soggetti più colpiti nel ruolo di vittima del cyberbullismo. La rete è dunque lo specchio di quanto accade fuori, nel mondo “reale”: le donne sono i soggetti più colpiti. Quello che da operatrice di Centri Antiviolenza sento di poter affermare senza ombra di dubbio è che urge un cambiamento della cultura di genere. Le nuove generazioni devono essere educate alla libertà, al rispetto, alle relazioni paritarie.
Esistono delle armi a tutela delle vittime del cyberbullismo?
Marta Di Cola: Dal nostro punto di vista rimane cruciale investire risorse ed energie per le azioni di contrasto e prevenzione, evitando di polarizzare ulteriormente i comportamenti negativi. Se individuare e intervenire con fermezza è necessario, un approccio “sanzionatorio” non solo si rivela insufficiente ad arginare il fenomeno, ma rischia di essere completamente vanificato, se non si producono dei cambiamenti significativi nei contesti in cui l’atto di (cyber)bullismo si produce. Di certo Facebook, Snapchat o Istagram non diventerebbero ambienti più amichevoli o inclusivi, laddove esistesse la certezza della pena. Ci sembra infatti una strategia perdente, soprattutto sul lungo periodo, focalizzare l’attenzione esclusivamente sugli strumenti di controllo (come il progetto del “bottone rosso” della Polizia Postale) o cercare una soluzione attraverso la punizione esemplare del bullo o della bulla di turno, risarcendo in questo modo la vittima. Le armi più efficaci sono quelle affidate al momento educativo, laddove si decida di affrontare la questione a tutto tondo, andando oltre l’opposizione vittima-bullo.
Antonella Zotti: E’ importante promuovere in primo luogo un utilizzo consapevole dei nuovi media da parte dei ragazzi. Un fattore protettivo determinante è la presenza una buona comunicazione tra genitori e figli. E’ fondamentale promuovere un processo di responsabilizzazione che faccia comprendere ai nativi digitali le conseguenze delle proprie azioni. Uno degli aspetti più difficili per un ragazzo coinvolto in un episodio di cyberbullismo, sia esso vittima o bullo, è quello di non poterne parlare con nessuno. La richiesta di aiuto, infatti, sembra essere resa particolarmente difficoltosa dalla percezione di un mondo adulto molto lontano dalle nuove tecnologie, e quindi incapace di comprenderne i problemi.
Che ruolo ha la scuola nel prevenire forme di bullismo in rete?
Marta Di Cola: La scuola dovrebbe rivendicare un ruolo centrale nell’azione di contrasto al bullismo in rete, cercando il dialogo e la collaborazione anche con le associazioni e le organizzazioni che si occupano del fenomeno. La scuola è, infatti, l’ambiente in cui ragazze e ragazzi incontrano la società e dove consolidano la propria identità in rapporto ai coetanei, innescando dinamiche di accettazione o di esclusione dal gruppo di riferimento. Tra i banchi di scuola vivono esperienze e sentimenti fondamentali, maturando scelte e aspettative che determineranno il futuro di ognuno. E’ dirimente affrontare la questione abbandonando un approccio cattedratico, dando vita a progetti ad hoc, in cui si dia spazio a quelle dinamiche relazionali che non trovano posto tra una verifica di matematica e una prova INVALSI, rimanendo colpevolmente sullo sfondo. Non si tratta di cambiare i ragazzi, ma di cambiare il modo in cui ci si relaziona con loro, per aiutarli prima di tutto ad esprimere e a gestire le proprie emozioni, anche le più negative.
Antonella Zotti: Credo fortemente nel lavoro che può essere messo in atto nelle scuole con ragazzi e ragazze, sulla capacità di gestire la propria frustrazione, riconoscere e controllare la propria rabbia, accettare i cambiamenti e le trasformazioni delle relazioni; lavorare sulla percezione del rischio, sull’identificazione dei segnali di comportamenti ossessivi e persecutori.
Qual è stata la vostra esperienza in tal senso e la reazione dei ragazzi? Quali le aspettative per il futuro?
Marta Di Cola: La nostra esperienza si colloca nel contesto più ampio dell’educazione alle differenze, definendo il bullismo come una forma di negazione del “riconoscimento”, rispetto a soggetti considerati deboli in virtù della loro presunta diversità (di razza, orientamento sessuale, status socio-economico ecc). Al contrario, riconoscendo la diversità come un valore aggiunto, una possibilità di essere-nel-mondo, si mira a far esplodere le contraddizioni (e le debolezze) inscritte in quel sistema di pregiudizi e stereotipi di cui l’atto di bullismo è epifenomeno. Allo stesso tempo, si cerca di creare uno spazio sicuro, in cui potersi esprimere liberamente ed essere se stessi. In questa prospettiva si collocano progetti come Personaggi in cerca d’autore, laboratorio di scrittura sull’identità e la relazione per le scuole medie, e il più recente Build future, stop bullying, finanziato dall’Unione Europea. In particolare, la proposta progettuale Build future, stop bullying, presentata con il I Municipio di Roma, nasce all’interno di una partnership internazionale e si pone come obiettivo quello di prevenire e combattere il bullismo in ogni sua forma, coinvolgendo la comunità scolastica. Una bella sfida che ci vedrà impegnate per l’anno scolastico 2016/2017 in tre diversi istituti di Roma, in un percorso di tipo prevalentemente laboratoriale che vedrà protagonisti assoluti gli studenti, accanto a professori e famiglie. Scopo ultimo sarà quello di elaborare delle linee-guida europee di prevenzione al fenomeno. Il fatto che esistano progetti come quelli che proponiamo e realizziamo nelle e con le scuole è sicuramente un segnale positivo, ma ad oggi non si può di certo parlare di una rivoluzione culturale in atto tra gli studenti rispetto a questo tema.
Antonella Zotti: Sarebbe opportuno continuare a studiare il fenomeno del cyberbullismo perché i dati ci dicono che è in rapida evoluzione. E’ importante implementare interventi di prevenzione di cui sia dimostrata l’efficacia e che diventino strumenti utilizzati in modo adeguato dalle scuole. In ultimo che si concluda a breve e favorevolmente l’iter della proposta di legge per il contrasto al cyberbullismo.
(Foto: Pixabay.com)
pubblicato il 27/06/2016 su www.facemagazine.it
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